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Il pubblico dentro la mostra e il ruolo del "critico"
Spesso è difficile spiegare a se stessi e agli altri le ragioni per cui una cosa "piace" oppure "è bella": bene, anche se è una impresa difficile, è fondamentale introdursi gradualmente alla lettura delle opere per poter chiarire a noi stessi le ragioni del nostro gusto emotivo. Per fare questo è necessario che lo spettatore voglia prendersi del tempo, senza aver fretta di guardare o di esprimere considerazioni schematiche e soprattutto che non presupponga mai le capacità e le possibilità del proprio sapere. Bisogna fermarsi, essere pazienti, interrogare e interrogarsi e ci si accorgerà che qualcosa ancora l'arte può donarci: in più o in meno rispetto ai più o meno vasti ambiti culturali a cui l'opera saprà riferirsi, ma pur sempre qualcosa frutto di una riflessione di un altro essere umano e del suo universo, quindi almeno per questo, rispettabile.
Il fatto è che l'arte ha il suo linguaggio, che ai più risulta delle volte ostico: innanzitutto non dobbiamo fermarci al livello più banale del linguaggio delle immagini: le opere non sono solo insegne commerciali, non sono semplici veicoli di ciò che il concetto verbale ha elaborato, se lo sono, se cioè non riescono ad aprire spazi ulteriori di riflessione nell'osservatore, transiteranno nel tempo e nella mente senza restare. Il vero linguaggio delle immagini, quello che ci permette di interpretare talvolta anche la profondità del reale, è quello che segue una grammatica sintetica di spazi, linee, colori, profondità, strutture raffinate (non leccate, ma "fini" nella capacità di costruire relazioni) e concepite con il contenuto che intendono mostrare all'evidenza della vista, il senso "fisico" che più di ogni altro ci dà immediatamente il senso di completezza della comunicazione. Chiunque voglia capire d'arte deve mettersi con pazienza a de - strutturare e a ricomporre mille volte, e di continuo le immagini e l'insieme delle relazioni formali che le organizzano nell'opera; per fare ciò occorre una solida cultura figurativa che purtroppo non ci è mai stata data nel nostro sistema di formazione scolastica. A questa ignoranza fondamentale della nostra società sembra talvolta di poter ovviare attribuendo autorità e sapienze fuori dell'ordinario alla categoria dei "critici": il loro agire costituisce spesso un grave handicap per l'arte perché, chi si picca di farne parte, conoscendo spesso la quasi completa ignoranza del pubblico in materia "visiva", si assume volentieri il ruolo di criptico vaticinante, imbevendosi e sommergendo l'incauto frequentatore di mostre con terminologie allucinatorie e fuorvianti: molti di essi finiscono solo per imbrogliare le idee a se stessi e al prossimo e spesso hanno come finalità, non la comprensione e la conoscenza ma la vendibilità del proprio ruolo. Al fondo di questa breve nota sarcastica c'é però un problema vero: il fatto è che chi scrive d'arte è costretto a tradurre in frasi e sintassi qualcosa che viene offerto all'evidenza dell'occhio e che si esprime in categorie che non hanno spesso corrispettivi verbali o concettuali. Lo sforzo di queste note è dunque quello di provare a fornire una possibilità di approccio alle opere di una mostra, lavorando su ciò che è la principale caratteristica delle arti figurative: la "forma". Ogni opera d'arte è sempre unità di forma e di contenuto, ma mentre noi normalmente per comunicare possediamo una cultura "verbale" che esprime semplicemente concetti e usa la lingua come il veicolo inessenziale ad essi, tutto ciò che intenda collocarsi nella sfera "artistica" necessita sempre di un linguaggio pariteticamente raffinato al livello del concetto espresso. In particolare, le arti figurative si esprimono spesso per categorie a - concettuali e non verbali con la loro lingua fatta di linee, spazi, forme, profondità, colori, impasti. Anche questa "mentalità poetica - visiva" che sta' dietro le arti figurative esprime dei contenuti, che possono essere più o meno raffinati e complessi, presentati in forme più o meno raffinate e complesse, così come possono essere più o meno raffinate e complesse le parole e le costruzioni dei componimenti poetici che normalmente ci sono più familiari. Anche le opere d'arte contemporanea per essere "arte" richiedono che il linguaggio sia non solo un veicolo, ma il modo stesso attraverso cui i contenuti esistono: c'é bisogno che essi siano al pari livello, ognuno indispensabile a fare la grandezza dell'altro. Ecco perché è così importante avere una "cultura formale" sia per capire le arti figurative che per praticarle. A cosa mai allora potrebbe servire il "curatore" o il critico d'arte in una mostra? Dovrebbe essere colui che fa da ponte alla comprensione di chi, per circostanze molteplici, non possiede la "mentalità visiva" e la necessaria cultura figurativa per comprendere le piene implicazioni delle relazioni visive: non può essere un buon "critico" (ma la parola è di per sé fuorviante, più giusto dire "interprete") colui che prevarica e nasconde con linguaggi settoriali e cifrati i sensi compositi delle immagini, e delle organizzazioni formali. E' invece più importante che ci sia qualcuno che, forte di una formazione vasta costruita sulla conoscenza delle arti e dei processi organizzativi delle composizioni e delle immagini, sappia collocare e connettere ciò che vede alla storia delle idee artistiche, alle problematiche esistenziali e poetiche personali o sociali che qualsiasi attività d'arte intende affrontare nel proprio tempo o ha inteso affrontare nelle epoche precedenti. Così diventa una sorta di "lettore specializzato" che può collocare un dipinto, un'opera, nel luogo, nelle idee e nel contesto che le competono e che le possa definire meglio, cioè nel proprio ambito di relazioni culturali, artistiche, formali ed esistenziali. Tutto ciò dovrebbe avvenire in base alla propria onestà intellettuale e alla propria ( quanto più vasta possibile ) cultura di immagini e di strutture organizzative . Theorèin - Settembre 2004
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